per chi vuole, deve o crede di cambiare lavoro

domenica 21 giugno 2009

I dirigenti che perdono il lavoro

Chi mai l’avrebbe detto, negli anni ’80? Proprio loro, i ventenni del decen­nio rampante per antonomasia, ades­so, a cinquant’anni, rischiano di tro­varsi da un giorno all’altro senza pol­trona e scrivania. «La crisi sta metten­do una pietra sopra alla carriera intesa come una crescita, più o meno lenta ma continua, della propria posizione professionale», sentenziano impietosi i cacciatori di teste. Un colpo al cuore per chi nella vita, anche per un secon­do soltanto, ha creduto alle promesse dello yuppismo.D’altra parte è dagli anni ’90 che i giovani determinati a giocarsi tutte le carte sul mercato del lavoro si sono adattati all’idea di diventare sempre più imprenditori di se stessi, flessibili, pronti a cambiare ruolo a seconda del­le esigenze dell’organizzazione. Oggi, però, questa cassetta degli attrezzi, fat­ta di adattabilità e inventiva, da sola non basta più. I dirigenti stanno impa­rando sulla loro pelle a fare passi indie­tro. Sei direttore generale? L’azienda chiude e pur di lavorare torni a fare il direttore vendite. Poi domani si vedrà. Le società di executive search sono inondate da curri­culum e richieste di colloquio. Nello stes­so tempo le posizioni vacanti sono diminui­te. «I dirigenti ci con­tattano a volte con una scusa, ma l’obiet­tivo è sempre fare il punto sulla loro situa­zione professionale.Chi non ha un piano B si sente con le spal­le al muro», racconta Cristina Spagna, diret­tore generale di Kilpa­trick Executive Sear­ch. Ma cosa sarebbe «un piano B»? «Una strada alternativa. Sei in una posizione che funziona ma nel­lo stesso tempo ti coltivi un’alternati­va. Una via d’uscita nel caso dall’oggi al domani ti comunichino che non hanno più bisogno di te».
La crisi dei manager è anche una cri­si di Milano e della Lombardia. I diri­genti in Italia sono 125.500, di questi il 57% sono concentrati in regione. Non a caso: in Lombardia si trova la gran parte delle multinazionali. E nelle grandi aziende fare carriera è sempre stato più facile. Nell’ultimo anno i diri­genti si sono ridotti a 120 mila, oltre cinquemila in meno. La crisi ha colpi­to duro soprattutto nell’industria. E so­prattutto a Milano e dintorni. «Le mul­tinazionali stanno tagliando. I quartier generali sono sempre più all’estero e sempre meno a Milano», racconta Cri­stina Spagna. «Chi trova lavoro passa ad aziende più piccole che, a differen­za delle multinazionali, non sono sem­pre concentrate a Milano. E così anche il manager è costretto a traslocare. Il tutto ridimensionando le pretese ri­guardo a benefit, orari di lavoro. Sti­pendio », raccontano in Manageritalia, l’associazione che raggruppa i dirigen­ti dei servizi.«Ormai anche ai livelli più alti la glo­balizzazione è vera — continua Spa­gna —. Se l’azienda cerca un manager, poi, non è detto che lo assuma in Ita­lia. E anche quando si parla di giovani promettenti, ingegneri per esempio, c’è chi li va a prendere in India. Tanto parlano perfettamente inglese. Magari pretendono anche meno».La prima arma di difesa che i mana­ger cercano di utilizzare è quella del networking, termine inglese che poi vuol dire relazioni, salotti, amicizie che contano. «In questo momento a tutti è richiesta una maggiore capacità di muoversi all’interno dei diversi con­testi, per costruire consenso attorno a sè», racconta tra gli altri Pierfrancesco Gherardi, direttore generale della divi­sione Digital di De Agostini editore. E così si investe sull’iscrizione al circolo giusto, il salotto, la partita a golf. «Nei settori più vicini al pubblico il benvole­re della politica può fare la differen­za », dicono a taccuini chiusi i profes­sionisti dell’executive search.«La paura impera, inutile negarlo— conclude Giuseppe Truglia, presiden­te di Manageritalia a Milano —. Anche perché chi perde il posto non sa quan­to tempo ci metterà a trovarne un al­tro e a quanto dovrà rinunciare. Chi ha la fortuna di non subire scossoni è co­munque in una situazione delicata. Perché ormai l’azienda non program­ma più la carriera assieme a te. E cia­scuno deve inventarsi un percorso». Nella speranza di non sbagliare nessu­na mossa.
Rita Querzè
copiato da Corriere della Sera 20 giugno

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