per chi vuole, deve o crede di cambiare lavoro

domenica 21 giugno 2009

I dirigenti che perdono il lavoro

Chi mai l’avrebbe detto, negli anni ’80? Proprio loro, i ventenni del decen­nio rampante per antonomasia, ades­so, a cinquant’anni, rischiano di tro­varsi da un giorno all’altro senza pol­trona e scrivania. «La crisi sta metten­do una pietra sopra alla carriera intesa come una crescita, più o meno lenta ma continua, della propria posizione professionale», sentenziano impietosi i cacciatori di teste. Un colpo al cuore per chi nella vita, anche per un secon­do soltanto, ha creduto alle promesse dello yuppismo.D’altra parte è dagli anni ’90 che i giovani determinati a giocarsi tutte le carte sul mercato del lavoro si sono adattati all’idea di diventare sempre più imprenditori di se stessi, flessibili, pronti a cambiare ruolo a seconda del­le esigenze dell’organizzazione. Oggi, però, questa cassetta degli attrezzi, fat­ta di adattabilità e inventiva, da sola non basta più. I dirigenti stanno impa­rando sulla loro pelle a fare passi indie­tro. Sei direttore generale? L’azienda chiude e pur di lavorare torni a fare il direttore vendite. Poi domani si vedrà. Le società di executive search sono inondate da curri­culum e richieste di colloquio. Nello stes­so tempo le posizioni vacanti sono diminui­te. «I dirigenti ci con­tattano a volte con una scusa, ma l’obiet­tivo è sempre fare il punto sulla loro situa­zione professionale.Chi non ha un piano B si sente con le spal­le al muro», racconta Cristina Spagna, diret­tore generale di Kilpa­trick Executive Sear­ch. Ma cosa sarebbe «un piano B»? «Una strada alternativa. Sei in una posizione che funziona ma nel­lo stesso tempo ti coltivi un’alternati­va. Una via d’uscita nel caso dall’oggi al domani ti comunichino che non hanno più bisogno di te».
La crisi dei manager è anche una cri­si di Milano e della Lombardia. I diri­genti in Italia sono 125.500, di questi il 57% sono concentrati in regione. Non a caso: in Lombardia si trova la gran parte delle multinazionali. E nelle grandi aziende fare carriera è sempre stato più facile. Nell’ultimo anno i diri­genti si sono ridotti a 120 mila, oltre cinquemila in meno. La crisi ha colpi­to duro soprattutto nell’industria. E so­prattutto a Milano e dintorni. «Le mul­tinazionali stanno tagliando. I quartier generali sono sempre più all’estero e sempre meno a Milano», racconta Cri­stina Spagna. «Chi trova lavoro passa ad aziende più piccole che, a differen­za delle multinazionali, non sono sem­pre concentrate a Milano. E così anche il manager è costretto a traslocare. Il tutto ridimensionando le pretese ri­guardo a benefit, orari di lavoro. Sti­pendio », raccontano in Manageritalia, l’associazione che raggruppa i dirigen­ti dei servizi.«Ormai anche ai livelli più alti la glo­balizzazione è vera — continua Spa­gna —. Se l’azienda cerca un manager, poi, non è detto che lo assuma in Ita­lia. E anche quando si parla di giovani promettenti, ingegneri per esempio, c’è chi li va a prendere in India. Tanto parlano perfettamente inglese. Magari pretendono anche meno».La prima arma di difesa che i mana­ger cercano di utilizzare è quella del networking, termine inglese che poi vuol dire relazioni, salotti, amicizie che contano. «In questo momento a tutti è richiesta una maggiore capacità di muoversi all’interno dei diversi con­testi, per costruire consenso attorno a sè», racconta tra gli altri Pierfrancesco Gherardi, direttore generale della divi­sione Digital di De Agostini editore. E così si investe sull’iscrizione al circolo giusto, il salotto, la partita a golf. «Nei settori più vicini al pubblico il benvole­re della politica può fare la differen­za », dicono a taccuini chiusi i profes­sionisti dell’executive search.«La paura impera, inutile negarlo— conclude Giuseppe Truglia, presiden­te di Manageritalia a Milano —. Anche perché chi perde il posto non sa quan­to tempo ci metterà a trovarne un al­tro e a quanto dovrà rinunciare. Chi ha la fortuna di non subire scossoni è co­munque in una situazione delicata. Perché ormai l’azienda non program­ma più la carriera assieme a te. E cia­scuno deve inventarsi un percorso». Nella speranza di non sbagliare nessu­na mossa.
Rita Querzè
copiato da Corriere della Sera 20 giugno

sabato 20 giugno 2009

Quante volte si cambia in Europa

http://miojob.repubblica.it/notizie-e-servizi/dossier/dettaglio/CONFRONTO-EUROPEO:-VOGLIA-DI-CAMBIARE-AZIENDA/1972469

http://miojob.repubblica.it/notizie-e-servizi/dossier/dettaglio/UNA-VITA-IN-UFFICIO:-GLI-ANNI-CON-LA-STESSA-IMPRESA/1972476

Perchè si cambia

Un lavoratore su cinque si propone di cambiare impiego. Per migliorare i guadagni, le prospettive, il rapporto con i dirigenti. Ma a ricoprire i ruoli più importanti sono soprattutto quelli che rimangono nelle imprese e per sei su dieci che hanno cambiato non c'è stato miglioramento retributivo.
di FEDERICO PACE
Ciascuno cova almeno un desiderio. Ciascuno porta dentro di sé un sogno diverso da quello degli altri. Eppure quando si tratta della vita in ufficio spesso il sogno finisce per prendere una forma condivisa e comune: la voglia di cambiare lavoro. Tanti sono, soprattutto in questi primi giorni dell’anno, quelli che pensano alla possibilità di prendere le cose e filarsela via. In un altro posto. In un’altra azienda. Tanto che se c’è una cosa, almeno una, che unisce impiegati e manager, questa è proprio quel taciuto desiderio di trovare un impiego migliore.
Per il 2007, secondo alcune indagini pubblicate in questi giorni, un lavoratore su cinque si propone di trovarsi un’altra impresa. Le ragioni sono quelle tradizionali: l’insoddisfazione per la busta paga e la disillusione per le prospettive di carriera. In Italia, secondo i dati Plus-Isfol, solo il 49,9 per cento degli italiani è soddisfatto delle prospettive di carriera. E la retribuzione attuale appaga solo il 53,8% dei lavoratori.
C’è, secondo gli esperti, una stretta correlazione tra il livello di soddisfazione del lavoro e la voglia di cambiare lavoro. Tanto che si arriva anche a parlare di una specie di ciclo periodico in cui si alternano l’insoddisfazione per il lavoro, l’effetto "luna di miele" appena si cambia lavoro (con una specie di felicità indipendente dalle condizioni oggettive) a cui fa seguito una inesorabile “ricaduta”. Con il rischio che dopo qualche mese si ripresenti il problema.
Ma dove è che il desiderio di lasciare un posto si fa più evidente? In quali imprese lavorano i dipendenti che più di altri si sentono spinti a lasciare la strada vecchia? “Il fenomeno – ci ha detto Paolo Citterio, presidente dell’Associazione direttori risorse Umane (Gidp/Hrda) network di 1850 direttori o dirigenti del personale - si sente soprattutto nelle imprese medie e piccole. Nelle imprese grandi c’è la “tavola dei rimpiazzi”, ciascuno è destinato ad andare in un posto superiore, quando uno dà le dimissioni, c’è sempre un altro che può prenderne il posto. Nelle medie e piccole aziende questa politica non c’è e le persone provano più disagio. Sono imprese che formano il tessuto italiano, ed è soprattutto in queste imprese che si impara bene a conoscere il funzionamento di un'impresa, ma quando si sta in un’azienda piccola o media che non dà prospettive di carriera è meglio provare cambiare.”
Insomma le dimensioni contano. Ma a rendere difficili le cose ci si mette anche il complesso rapporto con il diretto responsabile. Secondo i dati dell’indagine Kelly Global Workforce Index, realizzata da Kelly Services, multinazionale di servizi per le risorse umane, gli italiani sono tra i lavoratori che vanno meno d’accordo con i capi. Se potessero assegnare loro un voto, i responsabili si dovrebbero accontentare di un misero 6,2. Voti bassi su quasi ogni aspetto: appena sufficiente per leadership e attitudine alla delega delle responsabilità e insufficiente per la comunicativa e lo spirito di squadra. I più critici sono soprattutto quei lavoratori nel pieno della “maturità": chi ha 35 anni assegna un 5,9 e chi ha tra 45 e 54 anni solo 5,5.
Ma cambiare azienda non sempre paga. Muoversi conviene soprattutto nelle prime fasi di sviluppo della propria carriera. Sono i giovani a trarre maggiori benefici dai passagi da un'impresa all’altra (non sempre volontariamente). Gli incrementi salariali avvengono soprattutto nella prima fase. Ma forse quello che più conta è che a coprire i posti direttivi nelle imprese sono spesso i candidati interni all’impresa. All’inizio della carriera uno o due cambiamenti sono buoni ma in seguito c’è da stare più attenti. Dai dati dell'Isfol emerge che poco meno della metà degli occupati (il 46%) ha cambiato almeno una volta mestiere o professione nella propria vita lavorativa, ma per il 50% di loro non c'è stato alcun miglioramento in termini di affermazione e carriera mentre per oltre il 58% non ci sono stati miglioramenti retributivi.
Secondo i recenti dati dell’ultimo Eurobaromentro, il 21% degli italiani non ha mai cambiato azienda durante l’arco della propria carriera professionale e il 47% lo ha fatto tra una e 5 volte. Solo il 3% più di sei volte. Il 28 per cento lavora con lo stesso datore di lavoro da più di dieci anni e il 13% da almeno sei anni. Solo il 3% da meno di un anno.
Ovviamente il mercato esterno condiziona le decisioni individuali. Allora, come sarà il mercato del lavoro nei prossimi mesi? Seppure i dati Istat hanno mostrato un tasso di disoccupazione ai minimi dal 1992, il mercato del lavoro italiano sembra muoversi pochissimo. Da qui a marzo, secondo le stime di Manpower, l’evoluzione del mercato sarà ancora molto tiepida. Solo otto aziende su cento si dicono pronte ad assumere. Soprattutto quelle operative nel settore dei servizi finanziari e in quello dei servizi sociali alla persona

copiato da: Miojob

consigli per cambiare vita

Pubblichiamo un articolo apparso sul sito spagnolo www.univision.com a firma Maria Jesus Rivas.
Consigli per cambiare vita
E' possibile trasformare la nostra vita ? Dopo aver relegato i nostri sogni e desideri all'ultimo posto di una vita insoddisfacente e fatta di routine, è ancora possibile cercare di vivere bene, soddisfatti e felici ? A quanto pare sì, seguendo alcune semplici tecniche.
Il momento di dire basta
Isabel, medico endocrinoglogo di 43 anni ha lasciato il suo ospedale per diventare monaca di clausura; Kim professore di liceo decise di sottoposi all'operazione che l'avrebbe reso donna; a 47 anni Miguel scelse di abbandonare la sua carriera di chef in un rinomato ristorante per dedicarsi alla ristrutturazione di abitazioni di piccoli villaggi spagnoli; Clara era giudice e oggi oltre ad insegnare danza classica è ballerina. Era arrivato per loro il momento di dire “Basta” di decidere di iniziare da zero una vita nuova. Non era abbastanza “ritoccare” un po' la vita di tutti i giorni, renderla più accettabile, era necessario un cambio radicale, certo pensato e ben valutato, che avrebbe dato cambianto totalmente il loro modo di vivere. Ma cercavano la felicità, e così facendo l'hanno trovata. Alcuni cambiano sesso, paese, cultura, religione, altri modificano la propria professione o l'attività, ma una cosa è comune a tutti : lo stupore, l'incredulità e la sorpresa di chi è loro vicino. Il cambiamento è una decisione difficile da prendere – dicono gli esperti – ma una volta presa i primi a sorprendersi sono proprio i protagonisti, coloro che hanno scelto di cambiare. Una cambio totale di vita, lasciando tutto ? Tutti prima o poi ci pensiamo, quando siamo oppressi dalla routine e dallo stress. I casi reali di Isabel, Miguel, Kim e Clara ci dimostrano però che si può cancellare tutto, cambiare radicalmente, crearsi una nuova vita. Prima di tutto però è necessario e fondamentale conoscersi molto bene.
Il cambiamento non è facile
Sebbene il più delle volte non sia necessario un cambiamento radicale per migliorare la vita di tutti i giorni, ma sia sufficiente introdurre delle piccole accortezze, gli studiosi hanno scoperto recentemente che la voglia di lasciare tutto e ricominciare da zero avviene in coincidenza della cosiddetta “crisi di mezza età”,cioè nel momento in cui ci si ferma a fare un bilancio di come si è vissuto e di cosa si è realizzato. Il cambiamento radicale è un passo difficile da compiere a qualsiasi età e spesso la routine e i legami affettivifungono da paravento. L'inerzia, gli obblighi familiari, l'illusione della sicurezza e la precarietà di un posto di lavoro sono ostacoli posti lungo il cammino verso il cambiamento, per non parlare della paura e dell'ansia che inplica una dcisione così radicale. Nonostante tutto però – dicono gli esperti - si può scegliere di cambiare il proprio destino, lasciandosi alle spalle l'insoddisfazione e il malessere, dopo aver riflettuto attentamente e profondamente e seguendo gli adeguati iter. Sempre più persone si sentono vittime di uno stile di vita inerte, noioso e sentono di aver perso il controllo della propria vita, del proprio destino. Quando questo malessere è marcato le persone si sentono intrappolate in una realtà che non si sono scelte, e desiderano cambiare, cercando di crearsi una vita che rispecchi di più i loro sogni e desideri.
Analizzare il cambiamento
Prima di tutto si devono analizzare, riconoscere e ricondurre alle cause prime, gli attegiamenti che si mantengono in caso di successo o insuccesso, poiché è in queste eventuali insicurezze, timori o comportamenti accomodanti che si devono effettuare i principali cambiamenti. Cambiare la forma senza cambiare la sostanza conduce solo e sempre alle stesse conclusioni. Se si aspira ad un cambiamento che apporti una vita gratificante si può cadere nell'errore, molto comune, di idealizzare il proprio futuro immaginando un paradiso fantastico e perdendo di vista la realtà. Più il progetto di cambiamento si allontana dalle nostre reali, oggettive possibilità, più sarà vicina la delusione. Vivere in campagna o cambiare lavoro sono cambiamenti possibili solo se si è in grado di riconoscersi nei prorpi progetti, altrmenti si richia di cadere nelle trappola di un falso cambiamento. Spesso chi è annoiato dalla propria vita si crea l'idea di scomparire, di lasciare tutto per ricominciare tutto daccapo, come quelle persone che decidono di abbandonare il lavoro in città per trasferirsi in un piccolo paese. È una fuga, e quando si fugge da un conflitto questo si ripresenterà di nuovo : è sempre meglio riconoscerlo, affrontarlo e poi decidere se cambiare vita radicalmente è ancora ciò che si desidera.
Un Viaggio interiore
Un altro errore comune è quello di cercare di cambiare tutto facendo in modo che nulla cambi. E' il caso di chi cambia lavoro per delle aspettative : trovarsi in un posto più piacevole, avere più tempo libero, dedicarsi a qualcosa di più incentivante. In realtà il malessere che genera qesti pensieri non ha origine nel campo lavorativo, ma in se stessi per poi tradursi in una serie di abitudini che si vanno a sommare alla routine quotidiana. Il passo da cui partire prima di affrontare qualunque cambiamento consiste in un viaggio interiore, scoprirsi, re-incontrare la propria identità, la propria natura profonda. Secondo la psicologa e psicanalista spagnola Marga Pascual, “se dopo aver analizzato a fondo questa decisione si crede che la distanza tra il desiderio e la possibilità reale della sua realizzazione sia enorme, allora si è pronti ad affrontare il cambiamento e tutte le sue conseguenze. Un cambiamento di successo non è una distruzione, ma un'evoluzione che salva il salvabile e migliora il migliorabile”. Per questo conviene sempre progettare una meta precisa, realizzare un piano per ottenerla, essere realisti, creativi e flessibili, senza improvvisare. Non bisogna nemmeno auto ingannarsi e accontentarsi di spostare il proprio malessere da un punto geografico ad un altro.
Iniziare il processo di cambiamento
Per darsi una seconda opportunità (dal cambiare lavoro a fare il giro del mondo, iscriversi all'università o dedicarsi ad opere umanitarie) La dottoressa Pascual suggerisce sei punti base che ci possono aiutare a rendere la vita più soddisfacente. Prima di tutto si deve riuscire a distinguere tra un malessere esistenziale ed una inquietudine momentanea. Se la differenza tra le proprie aspirazioni e la realtà è notevole varrebbe la pena analizzare la propria esistenza e ripianificare ciò che ci scontenta. A volte l'infelicità è data dal fatto di essere poco obiettivi o dal non vedere con chiarezza ciò che ci piacerebbe fare o essere, quindi è necessario riflettere, spezzare l'inerzia ed attuare con decisione i giusti cambiamenti. Spesso questa semplice riflessione evita azzardi e delusioni. Se comunque la decisione di cambiare radicalmente vita rimane, lo si deve pianificare bene. Ci si deve concedere tempo per conoscersi bene e capire ciò che realmente si vuole, soppesare e maturare bene il desiderio di cambiare. L'ansia può essere uno stimolo, ma può anche bloccare la capacità di pensare razionalmente. Si devono analizzare a fondo le proprie risorse (economiche ma anche e soprattutto di adattabilità, e creatività) per essere sicuri di poter affrontare bene qualunque difficoltà. Il progetto va poi pianificato : deve essere realista,sensato e in accordo alle proprie possibilità. Si devono affrontare i propri limiti per non ricadere negli errori già commessi. Si devono raccogliere le informazioni necessarie e possibili che aiutino alla realizzazione del progetto evitando che si trasformi in una fantasia. Parlare il più possibile con amici e familiari aiuta molto : esporre le aspettative, i risultati che si vogliono ottenere, i progetti. Questo continuo parlarne farà sì cheil progetto di cambiamento acquisti sempre più forza e realtà e ci permette di evidenziare eventuali errori, considerazioni o possibilità non ancora affrontate. Il fatto che molti cerchino di dissuadere chi vuole lasciare tutto creerà la necessità di avere un progetto solido ed argomentazioni valide. Cambiare vita non è una scelta priva di rischi. Lasciatevi la possibilità di tornare. Calcolare i rischi e accettare la possibilità di sbagliarsi deve essere una condizione indispensabile per poter imparare dai propri errori, migliorando i progetti alternativi del futuro. Si passa quindi dalla teoria alla pratica: armati di pazienza e perseveranza, senza lasciarsi guidare troppo da impulsi e improvvisazioni e considerando attentamente ciò che si è appreso finora, sapendosi sempre ben adattare e sapendo superare crisi e modifiche dei propri progetti, si sarà pronti ad affrontare un cambiamento radicale con tutte ciò che questo comporta.

Lo stipendio da spuntare



Di stipendio e inquadramento (o remunerazione nel caso di lavoro autonomo) usualmente si tratta quando entrambe le parti hanno convenuto un interesse reciproco e quindi una corrispondenza fra esigenze organizzative e caratteristiche e aspirazioni della persona.
In deroga a questo costume, ci sono delle situazioni in cui conviene parlarne prima ancora di aver approfondito la conoscenza reciproca, per esempio:

· nel caso esistano delle precise politiche retributive e range economici e la possibilità che il candidato abbia richieste maggiori, chi si occupa di selezione per evitare perdite di tempo comuni, tratterà della posizione e dell’offerta già nel corso della convocazione telefonica o comunque nel corso del primo contatto; “Mi piacerebbe incontrarla perchè credo di avere una posizione interessante da proporle. Si tratta di un proposta per un responsabile della selezione-quadro…”
se il candidato ha precise e chiare richieste e per evitare proposte non in linea con le sue aspettative, si informa sul trattamento proposto prima di decidere se andare al colloquio di selezione oppure indica chiaramente già nel cv remunerazione e inquadramenti attuali o richieste future.

Si tratta comunque di una fase delicata da gestire con attenzione per evitare il rischio di mandare a monte una proposta interessante.

SUGGERIMENTI
· Durante il colloquio o in fase di trattativa non fartti prendere la mano esagerando sulla retribuzione. A volte le aziende chiedono di vedere la busta paga …
· Non esagerare con le richieste, non sempre è possibile tornare indietro e accettare remunerazioni troppo inferiori rispetto a quanto si è chiesto
· Se quello che ti offrono e troppo poco, ma la posizione ti interessa, tratta delle ipotesi future magari chiedendo un aggiornamento alla fine del periodo di prova o in occasione della prossima valutazione annuale

Quanto posso chiedere?

Che stipendio chiedere? E’ una delle domande centrali quanto ci si propone sul mercato del lavoro. Giocare male questo aspetto è molto rischioso perché si corre il rischio di
perdere una opportunità professionale interessante nel caso si abbia chiesto una cifra molto superiore a quanto il nostro interlocutore è disposto a darci
accontentarci di una cifra inferiore rispetto a quanto sarebbero stati disposti a riconoscerci
Alcune delle riflessioni che vi proponiamo possono essere una guida per gestire la trattativa economica anche di chi riceve proposte di collaborazione.

I giovani al primo lavoro dato lo scarso potere contrattuale, difficilmente potranno trattare l’importo che si troveranno generalmente ad accettare (sempre che sussistano le condizioni legali). Potranno però già proporre/chiedere un aggiornamento dopo il periodo di prova, dopo un anno o a fronte di una valutazione della prestazione positiva.

Chi ha già una esperienza professionale, potrà:

1)Pesare il valore della professionalità acquisita
Un aiuto può venire dalla remunerazione che già percepite (a cui aggiungere fra il 10 e il 20% rispetto alla forza contrattuale che credete di avere) e da un confronto con il mercato attraverso uno strumento quale( http://lavoro.corriere.it/guidetest/Test/Default.aspx)
Guadagni abbastanza? uno strumento di benchmark retributivo gratuito. Si tratta di un tool interessante che considera non solo la dimensione della posizione, ma anche le variabili legate alla zona geografica (il mercato del nord Italia a parità di condizioni paga più di quello del sud) e alle dimensioni e settore dell’azienda. Al dato ottenuto, che pur sempre medio ma un buon punto di partenza, si possono integrare altri due fattori: la coerenza fra esperienza sviluppata e posizione alla quale ci si riferisce e anzianità di ruolo, due elementi che possono far aumentare il valore della propria professionalità. Si tenga inoltre presente quanto la propria esperienza è disponibile o meno sul mercato e quindi se trattate “merce rara” o “abbondante”.
2) Definire un importo
Proponete la cifra, oppure chiedere all’azienda una proposta, secondo la vostra forza contrattuale e la vostra maggiore o minore sicurezza.
3) Trattare fisso e variabile
Se la distanza fra il valore che voi ritenete di avere e la proposta è ampia potete trattare sul rapporto fra il fisso e il variabile. Tanto più la posizione è elevata tanto più le aziende sono disposte a definire importi legati al raggiungimento degli obiettivi. Importo che secondo ghli ultimi dati aumenta sempre di più e tocca anche per le figure intermedie.
4) Contrattare sui benefits
Anche i benefits possono essere tradotti in un importo. Chiaro nel caso dei tiket restaurant che prevedono un chiaro importo, ma anche per l’auto aziendale il cui riferimento si può considerare valutando i dati Aci. Facile anche considerare il valore dell’asilo, check up medico meno monetizzare il rimborso delle spese mediche, il computer portatile etc


Abc sui termini Retribuzione e Inquadramento
Durante il colloquio di selezione, non si tratta solo di retribuzione (cioè di importo), ma anche di livello di inquadramento (impiegato di 2° livello del contratto nazionale commercio, quadro, dirigente), ed è bene avere concettualmente separati questi riferimenti perchè non vanno sempre in parallelo. Per esempio non è sempre vero che un dirigente prenda di più di un quadro oppure che un laureato in virtù dei suoi studi sia inquadrato a un livello maggiore di una segretaria.

L’inquadramento infatti si riferisce allo spazio organizzativo della posizione e quindi alla scala gerarchica mentre l’importo percepito dipende oltre che dal ruolo occupato anche dalle caratteristiche della persona che lo ricopre, dalle sue potenzialità e dal valore sul mercato di quella specifica professionalità (è per questo che due persone inquadrate a uno stesso livello potrebbero avere una busta paga molto diversa).

Contrariamente a quanto potebbe sembrare le aziende, soprattutto le grandi e ben strutturate, preferiscono aumentare l’offerta economica, piuttosto che concedere un passaggio di livello. Ci si sentirà rispondere che: la posizione non è grande quanto previsto per un inquadramento superiore.

Inquadramento e retribuzione derivano dalla dinamica fra:

le indicazioni della contrattazione collettiva nazionale e aziendale che definisce, in relazione ai diversi contenuti di ruolo, i livelli di inquadramento e il prezzo minimo di riferimento, il minimo salariale.
le esigenze delle aziende che devono compensare le persone secondo una politica di equità interna ma anche secondo un “prezzo di mercato” che le permetta loro di acquisire le risorse di cui hanno bisogno. In virtù di questa esigenza di attrattività, è possibile che vengano fatte delle deroghe al criterio di equità interna.


I benefits più diffusi

a) Benefit diretti cioè con un beneficio legato direttamente alla persona

Assicurazione: Si tratta di polizze infortuni sul lavoro o extralavorativi (in aggiunta alla copertura INAIL) oppure di polizze sulla vita, che possono essere concesse dalle aziende come benefit. Ma, più in generale, possono essere forniti diversi tipi di coperture assicurative.

Spese mediche: Alcune aziende coprono tutte le spese mediche dei propri dipendenti in caso di loro ricovero o ricovero dei famigliari.

Check-up medico: Alcune aziende forniscono un servizio annuale di check-up personalizzato, in collaborazione con apposite strutture mediche specializzate.

Previdenza integrativa
Benefit fornito ad alcune fasce (generalmente “alte”) di lavoratori. Le aziende iscrivono il dipendente a fondi pensione privati (assicurativi o bancari) e versano, per intero o per una parte sostanziosa, le quote previste. Da non confondersi con i fondi pensione negoziali o collettivi, per i quali è previsto il versamento del TFR.

b) Benefit indiretti: facilitazioni “collaterali” rispetto alla persona

Alloggio: generalmente le aziende lo concedono ai propri dipendenti che sono costretti a trasferirsi in sedi lontane da quella di appartenenza.

Auto: strumento di lavoro vero e proprio per alcune categorie di lavoratori (per esempio Funzionari commerciali), l’auto aziendale rappresenta un benefit generalmente apprezzato da tutti i dipendenti.

Carta di credito aziendale: strumento sicuro ed efficace per la gestione delle spese aziendali. Permette di gestire, ad esempio, le spese di viaggio e di rappresentanza con un buon controllo dei costi da parte dell’azienda.

Cellulare: tipologia di benefit inizialmente considerata “a rischio” ora non più grazie anche ad un’accresciuta possibilità di controllo dei costi

Mensa/Ticket restaurant: da taluni non è considerato un vero e proprio benefit, perché per natura non sembra fornire un beneficio paragonabile ad altri benefit che vanno ad aumentare sensibilmente il benessere individuale (si pensi all’auto, alle assicurazioni, etc.).

PC portatili: da alcune aziende non più considerato un benefit, ma un vero e proprio strumento di lavoro

Interventi Family Friendly e convenzioni: Asili nido per figli dei dipendenti, palestre interne alle strutture aziendali utilizzabili in orari extra lavorativi, convenzioni con teatri, cinema, musei, impianti sportivi, e molti altri ancora, rappresentano